Ralph Baer, e da dove tutto ebbe inizio…

In poche occasioni scrivo di personaggi della storia video ludica. Oggi è una di quelle.

Ho deciso di farlo nell’anniversario della sua scomparsa, per ricordare quello che ha fatto è quello che era.

Vorrei raccontarvi di Ralph Baer…

Se vi chiedessi qual è stato il primo videogioco arrivato nelle case? Se vi chiedessi chi dobbiamo ringraziare per la nostra passione? Forse tutte queste domande porterebbero ad una sola risposta: Ralph Baer.

La voglia di scrivere queste righe mi nasce, non lo nascondo, dopo aver visto il documentario” Easy to Learn Hard To Master: The Fate Of Atari”. Facendo poi i conti sul girato, e sulla data di morte, probabilmente nel documentario è una delle ultime in cui lo si vede in vita. Guardando il filmato ho provato grande ammirazione ed un senso di “caldo al cuore” impersonandomi nell’intervistatore di Ralph, che in quell’occasione ha avuto modo di giocare assieme a lui alla sua creazione.

Perciò, per chi di voi non lo avesse mai sentito nominare, voglio “presentarvi” nonno Baer.

Ralph Baer (originariamente Rudolph Heinrich Baer) nasce in Germania nel marzo del 22 da una famiglia ebrea. Inutile dire che per sfuggire alla mano della crescente fobia nazista (già è vittima di discriminazione durante la scuola), la sua famiglia emigra in America nel 1938, più precisamente a New York. La sua “vita” americana comincia nel modo più umile. Lavora in una fabbrica di scarpe ad un salario minimo, ma la voglia di crescere, in pieno spirito americano, fanno sì che un annuncio di una scuola di elettronica farà scoccare in lui la scintilla. Lasciato il lavoro e dedicatosi allo studio, la laurea arriva nel 1940, come tecnico radiofonico. Nel ’43, la sua conoscenza, viene chiamata ad assolvere gli oneri di guerra, combattendo la minaccia tedesca, presso l’intelligence militare avente sede a Londra. Grazie ad una formazione secondaria successiva, finanziata dal Bill Gi, (che altro non era che un patto per reintegrare i veterani di ritorno dalla seconda guerra mondiale) Baer si laurea in ingegneria televisiva nel 49, una bella novità dato che gli apparati televisivi (intesi come televisione fruibile al pubblico) sono praticamente alla vigilia della loro nascita.

Nello stesso anno Ralph trova impiego come ingegnere capo presso una piccola azienda elettromeccanica, la Wappler Inc. Da lì in poi la sua carriera, passando da diverse aziende, sarà un continuo crescendo di esperienze e responsabilità. Approderà, nel 1956, alla Sander Associates, una ditta privata che lavora in campo militare per conto del governo degli stati uniti, dove vi resterà fino al suo ritiro.

…L.P. che stava per Let’s play…”

L’idea di videogioco, o meglio di Home Console come la possiamo intendere oggi, Baer la ebbe nel 1966, mentre era dipendente della Sander Associates. Nella sua mente, com’era in campo militare, un televisore poteva mutare il suo scopo, e diventare fonte di intrattenimento per la famiglia. Il genio non perde tempo, batte il ferro finché caldo. Così il 1° settembre 1966 butta giù una proposta di ben 4 pagine, da sottoporre ai suoi supervisori per avere il via libera all’impresa.

Baer parla di una scatola da gioco da collegare al televisore, parlando di Channel L.P. dove l.p. stava per “Let’s’ play”. Ne ottiene 2500 dollari (2000 per l’investimento e 500 per il materiale) e due ingeneri (Bill Harrison e Bill Rusch) e un “box” pieno di idee!! In una intervista Ralph dice che “la riduzione dei prezzi dei televisori, all’opportuno momento” ha fatto sì che questi si diffondessero nelle case e che fossero “la culla” ideale per l’avvento di un sistema di “home console”!

THE BROWN BOX

Il primo “accrocchio finale” che il nostro nonno ottiene è una “scatola marrone”, la famosa Brown Box, che sarà esposta poi allo Smithsonian. Il nome deriva dal nastro impiegato per avvolgere la scatola, atto a simulare il legno impiallacciato che sarà impiegato per il progetto finale.

Baer portò la Brown box all’ufficio brevetti, e montandola su un televisore racconta “Quando la portai dall’esaminatore per farla brevettare, dopo soli 15 minuti ogni esaminatore dell’edificio era in quell’ufficio perché voleva giocarci”. La storia della Brown box non è però così immediata, non si arrivò subito all’ufficio brevetti, anzi al successo ante cederono diversi tentativi dell’inventore. Dopo la sua scomparsa, molti (se non praticamente tutti) pezzi, compreso parte del laboratorio di Baer, sono stati raccolti nel museo di storia americana Smithsonian. Grazie a questa donazione possiamo ripercorrere la storia della gloriosa scatola marrone.

TV GAME UNIT #1

Datata 1966, questa “scatola”, è a tutti gli effetti la prima console per videogiochi mai creata. In realtà si tratta di una semplicissima scheda che accoppiata ad un generatore di allineamento, (che non è nulla se non uno strumento di diagnosi che proietta un’immagine sul televisore, che Baer accoppiò ai suoi esperimento) riesce a produrre un punto luminoso sullo schermo di un televisore, e mediante un “controller” il “giocatore” è in grado di controllarlo a suo piacimento.

Possiamo considerare questa come la vera scintilla che accese il fuoco delle console. Questa unità fu creata da Ralph con l’assistenza dell’ingegnere (della Sanders) Bob Tremblay. Un’altra particolarità di questa precocissima console è quella di utilizzare valvole a vuoto, molto conosciute da Baer (ricordiamoci la sua laurea in ingegneria televisiva), nonostante esistessero già transistor in grado di espletare questo lavoro. Ultima ma non ultima curiosità, è che su questa unità vi sono numerosi cartellini di esposizioni di corte (come dice il sito del museo) perché fu utilizzata numerose volte come prova di violazione di brevetto.

TV GAME UNIT 1 copyrigth smithsonian http://americanhistory.si.edu/

PUMP UNIT – TV GAME UNIT #2

Il 15 giugno del 1967 Baer ed il suo team presentano il game unit 2 al senior management di Sanders. La unit 2 rappresentava la naturale evoluzione della 1, dove il cambiamento era rappresentato principalmente possibilità i far competere 2 giocatori l’uno contro l’altro! E su ben 7 giochi diversi! Naturalmente il prototipo (il Tv Game Unit 2), era talmente precoce, che questa funzionalità era attribuita ad un curioso comando in lego inserito su un lato corto della console. L’azionamento, che avveniva in su ed in giù, come fosse una pompa per l’acqua, diedero soprannome “pump unit” al prototipo. Nonostante il soprannome non azzeccatissimo e sbeffeggiata anche un po’, Tv Game Unit 2 gettò le basi (solidissime) per quello che era il concetto di entertainment che si stava (ri)cercando. Inoltre si battezzò qui, la strada per introdurre un sistema di scambio giochi a “cartucce”, in quanto l’obbiettivo per evolvere il prototipo era appunto quello di trovare un sistema per poter scambiare tra loro i 7 giochi su cui avvenivano le sfide.

Pump Unit, come per Tv Game Unit 1, riporta numerose targhette di esposizioni di corte per le prove di violazione del brevetto.

PUMP UNIT copyrigth smithsonian http://americanhistory.si.edu/

 

“…Nel momento in cui giocavamo a Ping Pong, sapevamo di avere un prodotto.

Prima non ne eravamo troppo sicuri…”

BROWN BOX – TV GAME UNIT #7

Ci siamo, è il momento! Verso la fine del 1967, fa il suo debutto la TV Game Unit 7. Il prodotto doveva essere accattivante, dato che Sanders contava di darlo in licenza commerciale ad un investitore, e doveva essere al contempo divertente. Come Dice Ralph “Nel momento in cui giocavamo a Ping Pong, sapevamo di avere un prodotto. Prima non ne eravamo troppo sicuri.” Il team, come promesso nel precedente incontro, portò alla commissione interna, una console che aveva già un aspetto semi definitivo. Aveva due controller ed era una diretta “figlia” della Pump Unit. Fu impiegato un nastro in vinile marrone, atto a richiamare la trama della radica, che rendeva di fatto, il tutto simile ad una “scatola marrone”. I giochi disponibili al “lancio” erano diversi: ping pong, dama, quattro giochi sportivi (tipo hockey football), un tiro al bersaglio (con apposito accessorio) ed un gioco di golf.

Anche la promessa delle cartucce di gioco intercambiabili era stata, in parte, rispettata. Brow Box, infatti, aveva sulla parte frontale una serie di interruttori per programmare i giochi contenuti al suo interno, sotto forma di variante di un “programma” comune a tutti. Di fatto le “cartucce” non erano altro che schede semplicissime di carta, che posizionate in mezzo alla schiera di interruttori, andavano ad indicare la posizione e quali di questi utilizzare per caricare un gioco piuttosto che un ‘altro.

Il sistema Brown box e le schede di programmazione copyrigth smithsonian http://americanhistory.si.edu/

TV GAME UNIT #8

Con il Tv Game Unit 8, nel 1968, probabilmente Baer raggiunge l’apice massimo della console. Questa unità era una sorta di periferica aggiuntiva da collegare alla console principale in modo che, durante uno “scontro” tra i due partecipanti al gioco si riuscisse meglio a definire velocità e direzione della pallina (in particolar modo su giochi come hockey o golf). Era a tutti gli effetti una versione successiva della mitica Brown Box, ma questa si rivelò però troppo costosa e non venne mai ricoperta del famoso vinile marrone e quindi mai mostrata agli investitori.

 

BROWN BOX LIGHTGUN

Alla fine del 67, Ralph sviluppo, parallelamente al suo progetto principe, una curiosa periferica che non era nulla se non un fucile in grado di colpire un bersaglio sullo schermo. Il suo gioco di “test” era Target Practice. Un prodotto dall’enorme valore aggiunto per la Brown box, nonché la nascita vera e propria della prima Light gun, anche se su questa storia ci sono particolari davvero interessanti!

Light gun copyrigth smithsonian http://americanhistory.si.edu/

BROW BOX GOLF

Un altro accessorio che si sperava vedesse la luce, ma che poi finì insieme al Tv Game Unit 8 nel dimenticatoio, era “l’accessorio per giocare a golf”. Presentato per completare l’asset iniziale di Brown Box, era un accessorio tanto efficace quanto semplice. Si trattava di una pallina da golf montata su di una leva a mo’ di joystick (ricordiamoci che all’epoca non esistevano videogames arcade e che il concetto di joystick, seppur banale era totalmente inedito). Questa particolare conformazione dell’accessorio, riusciva a far sì che il giocatore potesse usare una mazza da golf (vera o in scala) per colpire la pallina in modo che questa restituisse informazioni più fedeli alla realtà, sulla traiettoria

copyrigth smithsonian http://americanhistory.si.edu/

ODYSSEY

Baer, o meglio la Sanders, consapevoli del successo ottenuto all’ufficio brevetti, con la mitica Brow Box, iniziano a cercare un acquirente per il progetto, e naturalmente come poter iniziar a trarne un guadagno. Purtroppo la ricerca da scarsi risultati. Si inizia da Telepromter Corporation, per passare ad RCA ed infine approdare a Magnavox nel 1971. Dopo lunghe e non poche trattative nel maggio del 1972 (ben 6 anni dopo l’idea) nasce la prima home console: Magnavox Odyssey.

…. Sicuramente però “l’impiallacciatura” con il nastro marrone era decisamente da rivedere.

La “ skill-o-vision (il nome del progetto iniziale) nel frattempo, aveva perso i numerosi interruttori sulla parte frontale a favore di “cartucce” vere e proprie di gioco. Queste saranno la base (anche se in realtà nella prima generazione si finirà a parlare di switch piuttosto che di cartucce), per la successiva generazione di console. Le cartucce dell’Odyssey non erano altro che semplici ponti di collegamento tra la circuiteria già presente, in modo da rendere le variabili di gioco più accessibili, e far sì che l’utilizzatore non incappasse in combinazioni di interruttori, presenti appunto nel primo abbozzo, errate, scongiurando così crash di gioco e (probabilmente) di console. La console, purtroppo, perde anche la possibilità di visualizzare i colori (guadagnata con gli ultimi step di miglioramento), fonte anche di innalzamento dei costi di produzione.

La console prende il nome di Odyssey (forse per l’Odissea che compie prima di vedere la luce).

Per ovviare alla perdita dei colori e per rendere più accattivante (diciamo pure “metterci una pezza) nella confezione della console compariranno degli overlay, da appiccicare (o forse si appiccicavano per elettro staticità) agli schermi dei televisori (in due sole dimensioni però: una piccola ed una grande). Con la console troviamo anche 6 cartucce di gioco differenti che generano a loro volta diverse varianti di gioco per un totale di 12 giochi. Negli anni saranno rilasciate diverse “cartucce” per un totale di 28 varianti di gioco. Nella confezione, oltre alle cartucce ed agli overlay, vi era anche un corredo di carte, cartemonete e dadi in modo da creare, come sempre del resto, l’intrattenimento più totale. Ciliegina sulla torta (e particolare che vi ho taciuto finora) sono le 6 batterie incluse nella confezione che rendono Odyssey “pronta al gioco”. Eventualmente c’era anche un alimentatore opzionale per dar corrente alla macchina.

Il suo design, comunque, richiamava in moltissimi aspetti quello della brown box, anche se la “radica” era stata sostituita, nella maggior parte, da una più futuristica plastica bianca.

Quasi in contemporanea ad Odyssey, arriverà anche la famosa lightgun, venduta a parte, e volutamente scorporata dalla “confezione iniziale” in modo da incrementare il business. Si tratta della prima al mondo ed unica, tra le periferiche pensate da Baer, che vedrà un successo commerciale.

MAGNAVOX E NINTENDO

Giusto qualche riga poco sopra, si parla della prima Light gun. In realtà, recentemente si è venuti a conoscenza di particolari storie che sono trascorse tra Magnavox e Nintendo, sulla realizzazione di questa periferica. Per assurdo, Baer stava lavorando ad un progetto del tutto simile a quello di Gunpey Yokoi. Il giapponese, aveva messo a punto, negli anni 70, una serie di giocattoli (i Kosenju) dove un raggio di luce stroboscopica (ad una frequenza impercettibile all’occhio umano) andava ad interagire su un sistema elettromeccanico che a sua volta interagiva con la figurina in questione. Vi ricordate dell’articolo su wild gunman ? Pensate anche che ne usci pure uno che si chiamava duck hunt !! Ma torniamo a noi. I signori di Magnavox erano davvero incuriositi da questi giocattoli, i quali apparivano ben studiati e soprattutto ben rodati. Durante un convegno del 2002 Masayuki Uemura (che è il papà di famicom), ha raccontato di come i signori di Magnavox, nel 1971 contattarono Nintendo, cercando di capire come modificare i loro giocattoli, sulla base delle idee di Baer al fine di accoppiarli alla nuova “console”. L’idea di base, poi come detto, era del tutto simile, cambiava solo il fascio stroboscopico sostituito con una fotocellula nel progetto di Baer. Magnavox, perciò, deciderà di produrre tutte le future light gun alla casa di Kyoto ed Odyssey ne ricaverà a tutti gli effetti la prima light gun della storia. Qualche anno più in là Nintendo produrrà anche (sulla base dell’esperienza con Magnavox) il “telestar Marksman” per Coleco, il target game più venduto in America. Una storiella interessante direi!

Grandi numeri ma purtroppo un insuccesso.

Odyssey debutta alla cifra di 99.99$ (pari a circa 590$ oggi), un prezzo decisamente alto. Per ovviare al costo, l’azienda propone uno sconto, portando il costo a 50$ se si acquista la console in accoppiata ad un televisore Magnavox.

Tutto questo, però, trasmette all’utente scetticismo ed eccessiva richiesta di fidelizzazione nei confronti di Magnavox, oltre che ad un prezzo che rimane per l’epoca decisamente alto.

La prima ondata prevede una produzione di 50.000 unità, ma ne verranno costruite ben 140.000 che si porta fino al natale 1972 dopo di che, a detta di Baer, Magnavox pare voglia sospendere la produzione, tuttavia nel 73, una piccola fiammella resiste e Magnavox produce altri 27.000 pezzi (piazzandone però solo 20.000). Per il 74, Magnavox, lancia una campagna pubblicitaria più aggressiva e piazza ben 129.000 unità (150k secondo il nostro nonno). Nel 1975, viene interrotta la produzione di Odyssey.

In totale, Magnavox Odyssey, genera una produzione di circa 340.000 pezzi totali.

COMPUTER SPACE ED IL PONG DELLA CONCORRENZA

Magnavox Odyssey, o meglio la Brown Box, durante la sua Odissea inutile dirlo, è una macchina che viene dal futuro. Incanta, incuriosisce… strega. Strega talmente tanto un giovane Nolan Bushnell, che fa sì che questo aggeggio diventi per lui fonte di ispirazione e forse pure di disperazione.

Qualche tempo prima Bushnell e Dabney, sono al lavoro sulla prima macchina arcade (dove si intende videogioco / macchina arcade un videogame che funzioni a gettoni): il Computer Space. Bushnell inizia la sua avventura, al contrario di un Baer, su macchine arcade perché il suo primo lavoro post laurea avviene in un luna park estivo, dove il giovane Nolan capisce l’attrazione delle persone verso i giochi a gettoni. Il debutto di computer space avviene nel novembre 1971 ( qualche mese prima di Odyssey) e viene commercializzata da Nutting Associates, dove appunto Nolan Bushnell era ingegnere capo. Space War è talmente geniale, però, che pare che solo alcuni utenti riscano veramente ad apprezzarlo e a giocarci. Nutting non è soddisfatta e nemmeno Nolan che decide di mettersi in proprio lasciando Nutting A. e fondando di fatto Atari. Ottiene un ingaggio presso Bally per la creazione di un gioco a gettoni di macchine. In un giorno di maggio del 72 offre un lavoro presso Atari ad un giovane Allan Alcorn. Per assurdo lo stesso giorno, si reca presso i laboratori dimostrativi di Magnavox, incuriosito dal loro “nuovo videogame” (c’è un competitor in circolazione) e vede Odyssey. Su Odyssey sta girando table tennis. Nolan torna a casa, ne parla con Alcorn. Inutile dirvi che qui nacque Pong di Atari.

È bene fissarsi, a questo punto della lettura, un paio di cose nella mente.

Nel 1972 Bushnell è a tutti gli effetti l’inventore del primo videogioco arcade, ma non del primo videogioco in assoluto. Questo non possiamo purtroppo attribuirlo a Baer dato che Brown Box stava ancora navigando verso la sua Itaca, o meglio verso la sua Penelope, che in questo caso era Magnavox. Nolan lo batte sul tempo di ben 6 mesi. Con il tempo Bushnell dirà che l’ispirazione la ebbe giocando a Spacewar! (da lì probabilmente il nome de suo gioco arcade) nel 1966, un gioco creato verso la fine del 1961e che girava nei vari campus universitari ( e vedi anche il fatto che space war! Non è proprio fruibile a tutti)

Comunque sia, da questo intrecciarsi di date, nasce anche il primo e grande cruccio della storia dei videogames: chi detiene la paternità legittima della videoludicità? Tra Bushnell e Baer ci sarà sempre una discreta diatriba su di essa. Una delle dichiarazioni più interessanti del nostro nonnino preferito è che “Bushnell ha raccontato storie insensate per 40 anni”

L’opinione pubblica attribuirà la nascita della prima home console a Ralph Baer “d’altronde c’è un documento di ben 4 pagine che lo attesta” perché a tutti gli effetti è stato Magnavox Odyssey ad entrare per primo nelle case Americane. Per Ralph, Bushnell si è sempre “ispirato” ad idee altrui (migliorandole) ma non ha mai goduto di una propria inventiva.

Torniamo però a parlare di Atari.

Come dicevamo sopra, Odyssey non ha un debutto proprio ottimale. Probabilmente possiamo trovarne le cause in Pong. Il prodotto arcade che sforna Bushnell è migliorato sotto diversi aspetti. Ha un look che attira il pubblico, ed una fisica molto più realistica che lo governa. “Baer ha dell’inventiva, ma non sa rendere le cose divertenti”

Odyssey, riceverà il colpo di grazia quando qualche anno dopo alla versione arcade (che danneggia già Magnavox e Sanders) arriva la versione domestica: L’home pong.

Qualche anno più in la Baer arriva addirittura a notare che le persone di riflesso comprano Odyssey perché dispone di Table Tennis, che è “simile” a Pong. Probabilmente per questo che nel “credo comune” Pong è la prima console di videogiochi.

“…Potrebbero smettere di progettare giochi dopo Table Tennis…”

MAGNAVOX NON CI STA

Magnavox non ci sta’. Vivere di riflesso della concorrenza è un nodo troppo grosso da mandare giù. No non è vero, sono le pressioni che continuamente riceve da Sanders, detentrice dei brevetti di Baer e che li ha concessi a Magnavox come unica licenziataria. Così nel 1974 Magnavox decide di trascinare rispettivamente Atari, Nutting Associates, Allied Leysure, Bally Midway e Williams Electronics e tutti quelli che gli capitavano a tiro, per violazione dei brevetti di Baer. Praticamente l’azienda, cita in causa tutti coloro che agli albori stavano progettando videogames. Addirittura Ralph racconterà che le azioni legali non vennero archiviate immediatamente, ma mantenute attive al fine di massimizzare i danni (ed i guadagni) attribuiti. Tra le curiosità vi è anche il libretto degli ospiti che firmato da Bushnell nel maggio del 72, che dimostra che Nolan giocò a Table Tennis di Odyssey prima di produrre Pong.

La causa , ha quasi sempre il medesimo copione: viene incentrata sul brevetto del TV Game Unit 1 di Baer, e di come questo venga utilizzato di fatto su tutti gli altri sistemi. Trattandosi del principio base di tutti i prodotti video ludici creati finora quel momento, praticamente ne esce una guerra senza eguali. Inutile dirlo che il giudice da ragione a Magnavox essendo ritenuto quello di Baer “il concetto pionieristico dell’arte video ludica”. Atari sganciò subito 1.5 milioni di dollari, composti in parte da un risarcimento ed in parte per ottenere la licenza (perché il business non si ferma davanti a nulla / tieniti stretto gli amici ma ancor più stretto i nemici), avendo così strada spianate e pure a disposizione tutta la tecnologia in possesso di Magnavox e Sanders. Di fatto tutto ciò che aveva prodotto Baer fino a quel momento era ora in mano al suo acerrimo nemico.

Magnavox continua sistematicamente la sua “crociata” fino agli anni 90! Tutte le sentenze sono rigorosamente discusse sul brevetto di Baer. Addirittura nel 1985, si tentò di intraprendere il percorso inverso, cioè citare Magnavox, cercando di invalidare il brevetto di Baer parlando di “Tennis for Two” inventato nel 1958 da William Higinbotham. Nulla da fare, però. La corte disse che si trattava di un oscilloscopio ed essendo questo uno strumento, e rimasto tale nel tempo, non si poteva applicare la causa: Magnavox vince ancora.

Si stima, addirittura, che Magnavox abbia ottenuto oltre 100 milioni di dollari di introito solamente per mezzo delle azioni legali e, dove queste non venivano vinte, otteneva licenziatari dei loro brevetti.

1978… NUOVE IDEE PER IL NONNO !

Nel 1975, Baer inizia un’attività in proprio come consulente.

Nel 1976, assieme ad un suo collaboratore, tale Howard J. Morrison, ad una fiera di settore videro il videogioco “touch me” di Atari, un arcade dove vengono illuminati uno o più pulsanti in ordine casuale, e dove il giocatore deve riprodurre la stessa successione.

.. Bel gameplay, ma esecuzione visivamente noiosa e suoni miserabili e gracchianti.”

Erano le parole che uscirono dalla bocca di Baer, davanti al videogame. Probabilmente non aveva ancora digerito il nostro Nolan.

I due ingeneri (manco farlo apposta) ripresero l’idea di “touch me”, elaborarono un progetto, introdussero chip della Texas Istruments a basso costo (l’idea di contenere i costi e / o massimizzare i profitti era parte integrante della filosofia di Baer) ed ottennero Simon.

Nel 1980 perciò nacque Simon presentando il prototipo alla MB (Milton Bradley Company), e dove essa gli diede il suo nome. La cifra finale per il lancio era di 24$ (circa un centinaio al giorno d’oggi). Simon ottiene il brevetto di “gioco controllato da microprocessore”, un altro brevetto da aggiungere al curriculum di Baer.

La forza di Simon stava, sì nel concetto base di “touch me”, ma anche, alla stregua di Pong nei confronti di Magnavox Odyssey, un appeal ben più elevato. I tasti erano 4, con colori diversi (touch me aveva tutti i pulsanti di colore nero), riprendeva il nome dal gioco popolare“Simon’s says” in voga tra i ragazzini, e ciliegina sulla torta i toni utilizzati erano tutti armonici e non “gracchianti”.

Simon ebbe un successo planetario. Pensate che ad esempio in alcuni livelli bonus di donkey kong country (per citare il primo che mi passa in mente) dobbiamo riprodurre una successione di colori e suoni come nel classico Simon. Pensate anche che Atari produsse una versione portatile di Touch me, per contrastare il gioco della concorrenza, ma il successo di Simon l’eclissò quasi totalmente.

ODYSSEY 100 E SUCCESSIVE…

A partire dal 1975, Odyssey, complice lo scarso potere di mercato, muta di forma e diventa molto simile alla sua concorrente Pong. L’involuzione sta nel creare console molto più economiche e che contengono un solo gioco, o una serie di giochi in memoria. L’evoluzione stava nel trasportare i circuiti di logica, che erano il cuore pulsante di Odyssey, su circuiti integrati, i cosiddetti “Pong su chip” (notare anche come nel gergo tecnico si vada ad includere sempre un riferimento a favore della macchina di Atari).

Questa sarà anche la medesima tecnologia impiegata oltreoceano da Nintendo per iniziare il suo percorso verso il mercato dei videogame. Ricordiamoci che l’alleanza con Magnavox per la produzione delle light gun aveva anche permesso alla casa di Kyoto, di “osservare e giudicare” il mercato americano dei videogame, e cercando a sua volte un prodotto vincente da portare nel mercato giapponese.

Ogni anno Odyssey aumenta di “numero” (Odyssey 100, Odyssey 200 ecc. ecc.) e implementa il numero di varianti di gioco presenti in memoria.

Il tutto fino al modello Odyssey 4000, che inizia a sfoderare joystick simili ad Odyssey ².

ODYSSEY ²

Nel 1978, tocca a Magnavox Odyssey ², contrastare Atari 2600 e Fairchild channel f. Debutta pertanto la console Magnavox a cartucce. Nel frattempo l’azienda si era messa “in affari” con Philips. Questa collaborazione ha fatto sì che la console venisse distribuita in diversi paesi, nonché che la casa Olandese prendesse di fatto in mano le redini del reparto video ludico..

Negli Stati Uniti prende il nome di Odyssey ².

In Europa debutta una versione senza pulsanti di accensione e si chiama Philips Videopac G7000 (ci saranno anche altri cloni e prodotti di terze parti come il Videopac C52, il Radiola Jet25, Schneider 7000 e Sierra G7000). Tra l’altro l’Europa sarà anche l’unico continente che vedrà il suo successore il Videopac G7200 dotato di un monitor in bianco e nero integrato!

In Brasile approda Philips Odyssey, dove diventerà popolarissima con veri e propri tornei di Krazy Chase di KC ! Che è una specie di maze runner tipo Pacman.

Pensate che Odyssey ² arriverà anche in Giappone (ed i giapponesi non han mai visto di buon occhio i prodotti americani per ovvie ragioni). Le confezioni “scarne”, composte dalle confezioni originali ma dotate di adesivi con ideogrammi giapponesi e libretti tradotti e fotocopiati (quasi di corsa) ed il costo non proprio accessibile, fanno sì che gli Odyssey ² giapponesi siano prodotti molto rari.

A mio puro e mero parer personale, ho sempre trovato molto affascinante Odyssey ², anzi il Videopac (come si chiamava qui da noi). La sua conformazione con tastiera inclusa, per me ha sempre rappresentato il giusto mix tra gioco e studio. Pensate che viene proposta una cartuccia chiamata Computer Intro! (ah i titoli di tutte le cartucce americane finivano con un “!” quasi a voler aumentare l’enfasi) che aveva l’intento di insegnare il linguaggio dei computer (assembly) agli utenti. In Europa questa cartuccia si chiamava computer programmer

Da menzionare, oltre a Computer intro! altri punti di forza della console, quali il modulo per gli scacchi, la tastiera per poter suonare con la console e… novità veri e propri board game da “giocare” con la console. Si tratta di 3 prodotti Quest of the Rings! un’avventura stile signore degli anelli, Conquest of the world, una specie di Risiko e Great Wall Street Fortune Hunt, un gioco mix tra monopoli e crack (per gli amanti anni 80).

Un episodio curioso, sempre tra Philips (Odyssey) ed Atari fu quello della pubblicazione del gioco MK Munchkin che risutla essere un clone di Pacman. Atari era l’unica detentrice dei diritti del gioco Pacman, previsto sul mercato per il 1982. Munchkin arriva sugli scaffali un anno prima. Di prima battuta venne difficile dimostrate che Philips avesse copiato. Nel 1982, in appello,Philpis verrà accusata di aver copiato il gioco, con conseguente ritiro del medesimo dal mercato.

Tuttavia i “cloni” per Videopac sono più che conosciuti: Ufo (Asteroids), Nightmare (Forgger)

Saranno creati anche una serie di successori gli Odyssey³, ma questi, a causa della crescente crisi video ludica alle porte, non vedranno mai la luce. Li vedremo solo in Europa, con il nome di Videopac 7400+

nel 2001 al Classic Gaming Expo Baer ha portato la sua ultima creazione: una cartuccia del gioco Pinball! Creata da lui ma mai rilasciata fino a quel momento. Versione completata e confezionata in soli 100 esemplari (tutti firmati) è inutile dirvi che si tratta di un sacro graal.

L’ultima che è stata avvistata è attualmente in asta a $1,295.95 su ebay (proprio mentre sto scrivendo).

Baer riceve la National Medal of Technology nel 2006 da Bush e continua ad armeggiare nel suo laboratorio fino al 2013, totalizzando a quel momento 150 diversi brevetti sul suo curriculum (principalmente giocattoli).

Baer durante la sua vita ha due figli, James e Mark; una figlia, Nancy Baer; e quattro nipoti. Sua moglie muore nel 2006, qualche giorno prima del premio da parte del presidente americano.

Ralph ci lascia il 6 dicembre del 2014 a 92 anni.

Penso che le righe (davvero tante stavolta) che ho scritto qui sopra possano tranquillamente descrivere il genio di colui che ci ha “donato” la nostra passione. Sicuramente una persona che non aveva un gran gusto estetico, a cui mancava il senso degli affari ma sicuramente ricco di genio.

Se Nolan Bushnell è il padre commerciale dei videogames Baer ne è il padre spirituale.

vi lascio con un bellissimo video. (attivatevi i sottotitoli per godervelo al meglio)

BIOS:

ti piace il mio lavoro?

CASSAcorporation

CASSAcorporation Gaming, Retrogaming e altro ! Gioco ai videogames da quando sono piccolo, me ne innamorai utlizzando un clone di pong e da allora non ho acora smesso di giocare. Più in là negli anni, e nel tempo libero, ho deciso di scrivere un blog sulla mia passione. Gran parte degli oggetti che vedi fanno parte della mia collezione

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2 Attività

  1. Giacomo ha detto:

    Grande Cassa! Sempre belle le cose che racconti !!!

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